Via varsavia

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  1. paci87
     
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    In un piccolo teatro fiorentino va in scena uno spettacolo. In platea, solo poche persone e un attore. Sul palco, un’attrice porta in scena le ultime ore di vita di una poetessa condannata a morte per aver ucciso e mangiato suo fratello.

    La prima reazione, quando nella cassetta delle lettere di Hideout ha fatto la sua comparsa il dvd di Via Varsavia, è stato un sottile formicolio alla base del collo. Tipo quello che avverte Spider Man della presenza di un supernemico alle sue spalle.

    Insomma, si tratta di un film autoprodotto, a budget zero, realizzato da un giovane autore fiorentino che si è arrangiato da sé, occupandosi praticamente dell’intera produzione, del montaggio, del suono e della sceneggiatura, avvalendosi della partecipazione di alcuni artisti toscani di successo, come Alessandro Benvenuti, Marco Masini, Novello Novelli, Barbara Enrichi e Carlo Monni.

    Premesse di questo genere non potevano che far temere uno spaventevole “effetto Pieraccioni”, riportando alla luce traumi adolescenziali mai sopiti ed eventi del nostro passato che oggi preferiremmo nascondere. E invece no. E invece bisogna fare i complimenti e togliersi tanto di cappello di fronte a questo “povero Dogville italiano poeticomico” (come lo definisce lo stesso regista) tanto spiazzante quanto coraggioso.

    Emiliano Cribari, infatti, non prova a fare il gigione cercando scorciatoie televisive e soluzioni facili come ci si aspetterebbe da un cineasta emergente di neanche trent’anni. No, lui va dritto per la sua strada, che è quella più impervia di tutte, quella che passa dai luoghi più vituperati dell’Italia velinara e pallonara: il palco di un teatro e il diario di un poeta.

    Ci racconta una storia spigolosa, e lo fa nel modo più complesso, intrecciando la messa in scena teatrale con scampoli di vita vissuta, in un fitto gioco di rimandi, allusioni e cortocircuiti che si rispecchia negli innumerevoli movimenti di macchina montati con una perizia tecnica che compensa più che abbondantemente i limiti di budget.

    L’importante, d’altra parte, è che allo spettatore arrivi la poesia. Poesia recitata, poesia evocata, poesia svelata e talvolta ironicamente sbeffeggiata. Poesia infilata in ogni spazio filmico, anche oltre il limite della saturazione. Poesia incarnata in Erika Renai, impeccabile protagonista capace di “tenere il palco” in modo convincente anche attraverso la mediazione dello schermo e del montaggio.

    Certo, di Via Varsavia non si può solo dire bene. E non sarebbe neanche giusto farlo.
    Cribari è giovanissimo, ed è solo al secondo lungometraggio di quella che potrebbe essere una carriera luminosa, stando al talento che questo film lascia intravedere. È quindi normale che qualcosa da calibrare ci sia ancora. Nella fattispecie, una certa tendenza a “strafare”, a voler dire troppo, o forse a voler rimarcare troppo quello che si è già detto. L’esuberanza dell’autore-regista si traduce in un diluvio di parole che talvolta annacqua un po’ le battute migliori. Un difetto probabilmente reso più evidente dal tema stesso del film, la poesia, un soggetto che per essere assimilato richiede tempi calcolati al millesimo e qualche silenzio strategico nel quale le liriche possano adagiarsi.

    Alla luce di queste considerazioni, Via Varsavia risulta essere un film che si fa più rispettare che amare. Una prova convincente ma non risolutiva.
    Poco male comunque. Come si è già detto, Cribari ha davanti a sé una lunga strada. E da oggi la casella delle lettere di Hideout aspetta le sue nuove opere con trepidazione e senza pregiudizi.

    Curiosità
    Via Varsavia è il capitolo conclusivo di quella che Emiliano Cribari definisce la sua “trilogia della parola”, della quale fanno parte anche il mediometraggio La ricreazione e il lungometraggio Tuttotorna, entrambi del 2005, distribuiti da Cecchi Gori Home Video.

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    Emiliano Cribari ci porta in “Via Varsavia” (di Francesco Lomuscio per Cinemaplus)
    Terza prova registica del giovane autore

    Dopo il mediometraggio La ricreazione, nel quale cercò di condensare i diversi aspetti della vita attraverso gli occhi e le parole di alcuni studenti, ed il successivo Tuttotorna, decisamente più maturo, ma anche complicato nello svolgimento, il poeta e scrittore Emiliano Cribari, ancora una volta supportato dal gruppo Le cose che so di me torna nel mercato del digitale con la sua terza fatica registica: Via Varsavia, edita come le due opere precedenti dalla Cecchi Gori Home Video.
    La pellicola si svolge a Firenze, all’interno di un piccolo teatro in cui, dinanzi ad un pubblico costituito da pochissimi spettatori ed un attore, va in scena uno spettacolo interamente sostenuto da una donna che, condannata a morte quando si trovava in America per aver commesso un atroce atto di cannibalismo nei confronti del fratello, compie un suggestivo viaggio dentro di sé, un’ora prima di essere giustiziata sulla sedia elettrica.
    Un’operazione, quindi, che, girata in digitale in parte a colori ed in parte in bianco e nero, si basa in maniera quasi esclusiva sul lunghissimo monologo portato avanti dall’ottima protagonista Erika Renai – elemento fondamentale, insieme al regista, di Le cose che so di me –, tra ricordi, poesia e surreale umorismo toscano, nel corso dei circa 85 minuti di visione che appaiono più scorrevoli del solito, nonostante l’argomento trattato.
    E, al di là della bella colonna sonora, ad impreziosire il tutto provvede la partecipazione straordinaria di nomi del calibro di Marco Masini, Alessandro Benvenuti, Novello Novelli, Barbara Enrichi e Carlo Monni, mentre la tutt’altro che disprezzabile sezione riservata ai contenuti speciali annovera, tra l’altro, un diario di bordo realizzato attraverso numerose foto di scena commentate dallo stesso regista, le biografie di Emiliano Cribari ed Erika Renai, un backstage della durata di circa 30 minuti, le prove di ripresa e l’essenza del lungometraggio racchiusa in soli 60 secondi.
    Un’altra occasione, quindi, per continuare a scoprire una cinematografia oscura ed indipendente, a budget zero, interamente autofinanziata, tutt’altro che volta al grande pubblico ed al facile intrattenimento, che potrebbe risultare un’interessante alternativa per coloro i quali non si accontentano del regnante spettacolo alla portata di chiunque.
     
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